Se n’è andato Franco Cassano. Sociologo, nato ad Ancona, docente universitario a Bari. Non era noto al grande pubblico, ma molto di più a chi alla fine degli anni Novanta del secolo scorso è rimasto folgorato dal suo “pensiero”. Come la luce alla quale fa riferimento, la luce “meridiana”, le riflessioni di Cassano intorno al Sud e al Mediterraneo hanno trafitto una nebbia che si addensava sulle rive del mare nostrum da molto tempo, restituendo contorni e illuminando confini.
Il pensiero meridiano di Franco Cassano è stato un ribaltamento della questione meridionale, una riproposizione in chiave filosofica e anche poetica di quello che è sempre stato visto come un problema da risolvere. Arretrato, povero, ignorante, lontano dal mercato e dai tempi del capitalismo e del liberismo sfrenato, il meridione con il Mediterraneo, dopo secoli di gloria, era un altro sud del mondo, da redimere e salvare attraverso l’arma dello sviluppo.
Cassano ha avuto un’intuizione, unendo i punti, come l’itinerario dei naviganti di ogni tempo, tra storia, filosofia, cultura e bellezza: restituire un pensiero a un Sud offeso. Non un pensiero sul Sud, ma un pensiero del Sud. Non uno sguardo esterno che soppesa, giudica, valuta, ma una prospettiva interna che illumina e contempla. Lontano dal maledettismo del “paradiso popolato da diavoli”, tra mafia e immigrazione, e senza indulgere nei facili localismi dell’apologia di una passata gloria ancora rivendicata, ripensare il Sud, alla maniera meridiana, significa “attraversarlo” come quello che esso è, terra di confini e frontiera, “radice di pietra e di mare più forte della diversità delle rive”. Luogo di incroci, di scambi e scontri, il Mediterraneo rompe gli integrismi della terra e offre l’esperienza della pluralità, mare, isole, penisole, un mare aperto e chiuso al contempo, non quell’oceano dove ci si perde perché richiede il disancoramento, ma il mare delle rive e delle correnti, delle aperture e degli incontri. In questo luogo si è sempre più di uno, i discorsi sono “doppi”, contrastanti, le lingue si mescolano e anche le religioni e i popoli, le voci nell’agorà battagliano, e i filosofi dialogano camminando “lentamente”.
Ma “l’incontro di terra e di mare non è l’idillio che si ricompone”, non è pace duratura, esso rappresenta invece la Misura, patrimonio concettuale della cultura greca che vive in noi: la Misura che va sempre rinnovata e cercata, come sostiene Camus, scrittore e intellettuale meridiano per eccellenza: «Misura. La considerano la risoluzione della contraddizione. Ma non può essere che l’affermazione della contraddizione stessa e la decisione di aggrapparsi ad essa e di sopravviverle».
Perché qui si conosce “la faccia nera del sole”, la luminosità spietata che taglia l’esistenza umana abbagliandola e dissolvendola, e «dove è più nero il lutto, ivi è più flagrante la luce», per un altro grande, lo scrittore siciliano Gesualdo Bufalino.
Cassano ci ha donato un pensiero come alternativa a un modello lineare, deterministico, meccanico di sviluppo: ci ha aperto lo spiraglio, la fessura attraverso cui guardare per sottrarci a un immaginario omologante e livellante. Per restituirci una prospettiva e una parola comune in cui ritrovarci. Molti di quelli che hanno studiato il pensiero meridiano vi hanno trovato un allineamento di cuore prima che ancora intellettuale. In questa corrispondenza hanno costruito una “restanza”, categoria dell’abitare coniata dall’antropologo calabrese Vito Teti. Siamo “restati” …, abbiamo fatto comunità, ci siamo trovati e anche persi, ma continuiamo a farci sorprendere e abbagliare dalla luce meridiana. Continuiamo a interrogarci e a interrogare noi stessi e gli altri, chi arriva e chi torna.
Ma cosa ne abbiamo fatto di questo pensiero, una volta che ci è stato donato lo abbiamo usato per “rivoltarci” e fare germogliare un futuro? O forse non è questa la domanda giusta?
Come lo usiamo? Se l’era chiesto la filosofa reggina Francesca Saffioti dalle colonne della rivista “Lettere Meridiane”, che avevamo fondato con la casa editrice Città del Sole Edizioni con Franco Arcidiaco e Federica Legato (pubblicata dal 2005 al 2015). Anche Francesca se n’è andata poco tempo fa, troppo prematuramente. Aveva costruito un percorso intellettuale e umano attorno a questi temi, e la sua voce aveva certamente ancora tante cose da dirci. Ci ha lasciato un grande contribuito, il libro che avremmo voluto leggere, e che rileggiamo, non perché debba offrire tutte le risposte, ma perché sa porre altre domande, non smette di interrogarci, abissale come le acque inquiete del nostro mare, frastagliato come le rive accoglienti di questo vasto arcipelago. In uno degli ultimi capitoli di Geofilosofia del mare. Tra Oceano e Mediterraneo (Diabasis, 2007) scrive:
«Quello del Mediterraneo è certamente un pensiero della fine, ma non l’ora ineluttabile del nichilismo e del tramonto, che non lascia spazio a nessuna altra storia oltre questo Occidente e questa Modernità. Esso è in grado di trasformare la dialettica della fine nell’interrogazione radicale sulla finitezza. L’inizio, il ricominciamento meridiano, il secondo giro della ruota rivoluzionaria non pretende di essere un’origine pura, fuori dalla storia, piuttosto assume su di sé questa fine, essendo avvertito contro quel nichilismo che già una volta ha attraversato il suo spazio.
La rivolta meridiana non è un’utopia. Sia perché, dal punto di vista spaziale, essa rivendica la natura radicata del pensiero e la finitezza come scelta a favore dell’accadere, sia perché, dal punto di vista temporale, essa non deve realizzare qualcosa che ancora non c’è e in seguito sarà presente. La rivoluzione ci è già stata donata, come rotazione, come doppio giro. Saremo disposti a riprendere il suo viaggio di ritorno?».