Spesso mi sono ritrovata con piacere a leggere articoli di carattere storico corredati da materiale fotografico d’epoca. In tutti quei casi, all’analisi dei fatti si sono aggiunte immagini che aiutavano a comprendere meglio il passato, proprio grazie alle testimonianze della realtà immortalata da un obiettivo. La fotografia, dunque, ha sempre assunto un ruolo pregnante nella trasmissione degli eventi storici per quella sua capacità di riprodurre fedelmente il vero, e di trasmetterlo ai posteri. Riproduzione che talora, poteva risultare più attendibile della descrizione della realtà. A sostenerlo era l’illustre fotografo e fondatore della famosa rivista “Progresso fotografico” Rodolfo Namias, che nel 1905 affermava: “La storia figurata non mente, perché è la luce che l’ha scritta sulla lastra fotografica”.
All’inizio del 1900 circolavano in Italia già un centinaio di manuali, a riprova del fatto che la fotografia era già divenuta uno strumento molto utilizzato. Ma la particolarità di questa tecnica, già considerata un’arte, è l’aspetto sociale e culturale in essa contenuto. La fotografia diventa sempre più “democratica”, in quanto consente a chiunque disponga di una macchina, di riprodurre la realtà in modo oggettivo. A guardarla con occhi contemporanei, questa affermazione può far sorridere, specialmente se si tiene conto del fatto che la produzione fotografica odierna è divenuta forse troppo democratica e rischia di essere inflazionata dalla immane quantità di materiale realizzato da chiunque disponga di un dispositivo telefonico.
Ma per gli inizi del XX secolo, la novità e la magia della fotografia, la possibilità di bloccare il tempo in una immagine, l’idea che chiunque possedesse una macchina fotografica potesse farlo, rappresentavano elementi caratterizzanti di una società in evoluzione, che riconosceva nei valori del positivismo la chiave della modernità. La fotografia diventa così un fenomeno di massa già alla fine dell’800, in concomitanza con il diffondersi degli studi di psicologia, di sociologia, di medicina e di criminologia, e rappresenta lo strumento utilizzato per descrivere la dinamica società della Belle Époque.
In molti settori, da quello giudiziario a quello antropologico, la fotografia presta il suo servizio come mezzo per rappresentare in modo attendibile, la realtà specifica dei fatti. Sotto il profilo artistico, è sempre agli inizi del ‘900 che si delinea la necessità di valorizzare questo suo aspetto, con la creazione di mostre importanti come quella organizzata nel 1911 a Torino dal titolo “La fotografia nelle sue applicazioni”, e a Roma con la prestigiosa “Esposizione internazionale della fotografia”, alla quale presenziano il Re ed alcuni Ministri dell’epoca.
Ad un buon numero di professionisti di rilievo del calibro dei Fratelli Alinari, con studio nelle più importanti città italiane come Firenze, Roma e Napoli, si affiancavano in tutta Italia moltissimi ambulanti che si procacciavano clienti nei giorni feriali, per indirizzarli poi nei propri studi o atelier. Ma a chi si rivolgeva in particolare la fotografia? Certamente e prioritariamente alla borghesia che si autocelebrava attraverso essa, ma anche alla nobiltà che non la disdegnava affatto.
Spaccati di vita quotidiana venivano riprodotti all’interno di belle case o di laboratori fotografici, nei quali si trasferivano temporaneamente le suppellettili del salotto buono, per consegnare ai posteri migliaia di ritratti familiari di contesti sociali borghesi. Moltissimi i bambini che diventavano protagonisti di scatti che ne coglievano teneri aspetti infantili. E tantissime erano le pose di donne con aria sognante, che incarnavano il prototipo della brava madre e della sposa fedele. Assai interessante inoltre è la ricca produzione fotografica nei periodi bellici, con particolare riguardo alle due Guerre Mondiali. Fanti immortalati con sguardo fiero, alti graduati in posa per realizzare foto ricordo che venivano poi spedite ai propri familiari e agli amici, accompagnate da frasi di stima e di affetto. Sempre nel periodo di guerra, si producono e successivamente si diffondono gli album che documentano la vita sul fronte di guerra o sui Treni Ospedali. La fotografia diventa insomma uno specchio della società, della quale segue diligentemente l’evoluzione e le trasformazioni. Così come durante il periodo della dittatura, essa diviene strumento di propaganda e di esaltazione dell’operato del Duce che viene venerato alla stregua di un Dio. Da tenere infine in considerazione, l’evoluzione del mezzo fotografico in senso giornalistico, che passa attraverso la tecnica dell’istantanea, di certo un ulteriore passo avanti verso la modernità, per la sua capacità di rivoluzionare la prospettiva spazio-temporale per l’immediatezza della sua realizzazione.
Non era ancora arrivata l’epoca del Villaggio Globale profetizzata dal mass-mediologo Arthur McLuhan che nel suo “Gli strumenti per comunicare”, definiva la fotografia come “un mezzo che estende e moltiplica l’immagine umana alle proporzioni di una merce prodotta in serie”, attribuendo nel contempo ad essa, una importante funzione di denuncia sociale.