Patrizia Stefanelli ha recensito il mio ultimo libro “Concerto a vanagloria”, Ensemble edizioni, riporto qui il testo della recensione che trovo straordinariamente bella.
“Conoscendo un po’ l’autore del libro, Claudio Fiorentini, mi aspetto rotture di schemi e puntualmente le trovo.
Cinque anni prima dei fatti, Elmer Passacaglia, celebre scrittore, aveva voglia di gridare come un pazzo, alzarsi dalla sedia, buttare giù il PC dalla finestra per vederlo fracassarsi di sotto, magari al rallentatore, ma tra due virgole: accompagnandolo con una canzone d’amore.
Tutto questo mi appare grottesco e, dunque, tragico. Mi torna in mente la scena finale de Il gladiatore, con la colonna sonora di Zimmer a commentare la libertà che viene dall’acclamazione della sconfitta: Now we are free. Subentra la contraddizione: l’antieroe affonda la sua rabbia in un panino e una birra-molotov, accrescendo la sua mole già abbondante, e risponde alla e-mail dell’amico Ted, che aveva rifiutato la sua proposta editoriale, con un nuovo progetto.
La narrazione è esposta per gran parte del libro con la tecnica del flashback e flashforward creando la suspense necessaria al reperimento del tempo presente. Proprio sul tempo Claudio Fiorentini mette il segno distintivo della parziale rappresentazione della vita e della verità: Elmer sapeva del tempo infinitesimo che passa tra il presente e la sua percezione. Quel tempo, per Elmer, si poteva riassumere nell’attesa e l’eterno ritorno, nello scatto di un elastico, nell’attimo che ha l’energia vitale e incontenibile. L’aveva scritto in un romanzo presentato otto anni prima. Attraverso Ted, l’Autore pone l’accento sul “rifiuto” di una società che passa dalla politica economica a quella finanziaria. L’editore non intendeva pubblicare un romanzo che pone in nuce il commercio delle armi e un’associazione clandestina di giovani intenti a debellarlo. I giovani eroi sono Lillo e Marta, figli di Piero e Pina, confusionari vicini di casa di Ted. Pina sorride sorniona, riceve spesso un venditore di aspirapolveri; Piero è sospettoso, perché sorridere, per lui, è cosa strana. Ben altro, in seguito, gli risulterà strano in famiglia.
Quanto l’Autore coincida con il narratore e con il narrante non è semplice saperlo, ma nell’analisi sull’editoria attuale egli viene fuori con l’idea dell’arte che deve vagabondare per strada in cerca di una carità d’ascolto. Se la via è lunga, tanto meglio, perché ci vuole tempo per l’ascolto. Naturalmente, sono comprese tutte le contraddizioni possibili poiché (ci dice) nel sistema editoriale, con il nome in copertina appena più piccolo del titolo, ci stiamo bene tutti. Ebbene, almeno il costo della carta si deve pur pagare al povero editore che, spesso, farebbe bene a provare a vendere aspirapolveri. Un libro aspiratutto, questo ci vorrebbe; a spazzole strette (trentadue, come i denti o la vecchia Olivetti) che prenda e porti via le false convinzioni lasciando un tessuto di heideggeriana essenza temporale. Tornano l’attimo fuggente, l’attesa, il tempo zero dell’elastico di Elmer.
A vendere aspirapolveri (in realtà non ci riescono) ci avevano pensato, quattro anni e mezzo prima, Vito (quello che va da Pina) e Adelina. Vito è un ex prete - poeta - logorroico futuro venditore di enciclopedie con cui Elmer parlava da giovane; gli era piombato in casa per Provvidenza. Molte riflessioni scaturiscono dalle parole di Vito - alter ego. Ci si domanda circa il mito nell’arte, o l’arte nel mito, il mito dell’arte e infine l’arte del mito imposta dai media che vendono idee, ci forgiano per l’ignoranza, propongono falsi profeti di improbabile poesia e letteratura in nome del profitto. Amen.
Jerry, il venditore di armi, faceva parte della strategia del profitto più sporco, ne era l’emblema. Era anche eccelso esponente del rapporto tra narcisisti e adulatori. Una trappola non da poco, specialmente in certi ambienti, in cui lui, proprio lui era caduto. Difficile sottrarsene se non con la fiducia in coloro in cui si crede per eventi trasversali. Già, è negli incroci che si sceglie la via, allo stop. Questo accadeva due anni prima.
Adelina è un’ex modella. Vito l’aveva incontrata per strada, con le labbra sfregiate per sempre a chiamare Dio per rendergli la violenza che aveva subito. L’aveva presa con sé, come padre amoroso. In quella strada, Adelina sarebbe tornata con estremo coraggio; una strada percorsa anche da Ted la sera in cui aveva presentato lo strano libro di Elmer sul tempo e l’elastico, poi ritirato dal commercio. Le aveva fatto l’elemosina, ma si vedeva più stracciato di lei.
Vorrei porre un cenno sulla presenza e il desiderio di Dio in chi lo cerca e lo trova nel povero diavolo. Troppo complicato, declino l’idea di farlo.
Quella sera Ted aveva raggiunto sua figlia Jiuliette, una pianista che della musica aveva fatto l’unica ragione di vita, a casa dell’ex moglie. Jiuliette: […] mi sono detta: ma la musica è tempo e il tempo va sempre avanti, però, se la musica andasse indietro, o meglio, se fosse eseguita al contrario, non si stabilirebbe un processo rivoluzionario che disubbidisce alle più elementari leggi della natura? Avrebbe cercato il mito dell’eterno ritorno, la volontà di potenza di Nietzsche? Il punto esatto in cui l’attimo si perpetua nel divenire?
Tutto ciò incontra una mia riflessione, già riportata in altre occasioni: l’arte, qualsiasi forma di arte, credo tenda a rappresentare un evento. La forma che l’artista persegue è quanto di più vicino possa sentire alla sostanza. Lo spazio e il tempo, la loro relatività ormai conosciuta, sono percezioni che portano con sé, oltre al qui e ora, anche un prima e un dopo. L’evento, dunque, non potrà avvalersi di completezza assoluta poiché è contemporaneamente anche altro. Lo scarto essenziale sta, a mio avviso, nella ‘scoperta’ che contraddice il pensiero logico, il già conosciuto. Jiuliette avrebbe suonato un concerto, all’Arena di Vanagloria, con la musica all’incontrario; a quel concerto sarebbero andati tutti, anche Marta e il suo innamorato (una spia alla ricerca dell’organizzazione giovanile clandestina) bello e colto. Ecco l’anello che non tiene, l’evento prodotto dall’umana natura imprevedibile. Molti saranno i colpi di scena che si susseguiranno nei capitoli conclusivi di Vanagloria.
Mi chiedo quanti spunti di riflessione ci siano in questo volume di Fiorentini in cui il narrato è pretesto per un metaromanzo, ‘pastiche letterario’ da apprezzare con l’esperienza necessaria al discernimento; e l’esperienza viene dal vissuto e il vissuto dal passato, ma il passato è storia che, attenzione, infine si declina al presente. Siamo la nostra storia. Nostra fino a un certo punto poiché altri, in qualche modo, la condizionano e la controllano. Altro accade da un altro punto di vista.
Jiuliette aveva letto il manoscritto di Elmer e ne era rimasta folgorata. Secondo Ted era ammattita; per questo, in seguito, egli aveva rifiutato i veri capolavori letterari. Lo aveva scritto a Elmer con un mea culpa, invitandolo al concerto. Poi, sarebbe partito abbandonando l’editoria. Scrive l’Autore per bocca di Ted: … ci sono momenti in cui letteratura e realtà si fondono. Potrebbe capitare in qualsiasi momento. Gli eventi reali e l’immaginazione diventano un tutt’uno. Sì, ci sono sempre personaggi in cerca d’autore, come in un sogno lucido in cui immaginazione e percezione della realtà si fondono nella loro specularità per quell’intelligenza divina di aristotelica memoria.
La lettura, consigliata, di questo intrigante romanzo vi svelerà la fine della storia che non posso e non voglio dire, ma che in realtà potreste cominciare a immaginare”.
Recensione già pubblicata da: http://nazariopardini.blogspot.com