La magistratura associata è politicamente proficua quando, orgogliosa del governo autonomo e dell'indipendenza, si libera dall’istinto corporativo per aprirsi alla Società in cui opera, quando -abbandonando la sterile retorica di casta e il gioco politicistico delle correnti -riesce a provocare il dibattito pubblico, a sorprendere per il coraggio delle posizioni prese, in tal senso vivificando il culto laico per un Diritto costituzionalmente orientato, democratico.
Se si è consci, infatti, del valore della libertà sociale rispetto ad ogni “potere”, e delle dinamiche di responsabilità individuale strettamente legate ai diritti insopprimibili, e preesistenti, della Persona (contro ogni ragion di Stato), allora si giunge -insieme, tutti insieme, come Società- alle stesse conclusioni cui sono giunti i magistrati della sezione reggina di “Area Democratica per la Giustizia”:
Mi sembra che si possa dire anche così: non c'è spazio -in un contesto giuridico Occidentale -per presunzioni assolute, invincibili, nemiche della vita, dell’esperienza e dell'evoluzione spirituale e non c'è spazio per il riconoscimento di “verità” bellicose -tipico di una determinata concezione della “Giustizia militante”- che condanna tutto intero un territorio, sostanzialmente rappresentato come barbaro, irredimibile.
Per la Magistratura progressista reggina, in tale contesto, il Caso Cotticelli non è un unicum, è solo l’ultima epifania del fallimento delle Istituzioni Pubbliche in Calabria, l’ennesimo spunto di riflessione e di dolore collettivo che s’ingenera dalla constatazione della grottesca sottovalutazione -da parte del Potere- del peso democratico e civile di una Terra, della nostra Calabria, divenuta, appunto, feudo da commissariare.
Una terra condannata non solo all’imperversare dell’Antistato ma anche allo sbandamento dello Stato, dei suoi apparati ormai fuori controllo, in mano a faccendieri e arrivisti senza scrupoli, allo scandalo, ad esempio -parlando di sanità e medicina di territorio- delle doppie e triple fatturazioni ASP, della mala gestio, dell’incuria, rispetto alle quali, però, il “commissariamento eterno” non è che la conseguenza tragica, magari semplicisticamente “necessaria” ma, davvero, non la soluzione.
La critica, infatti, ai provvedimenti legislativi eccezionali che non risolvono nulla ma che aggravano la situazione, la critica alle strutture emergenziali -lontane dalle esigenze dei cittadini e dei territori, apparentemente scevre da qualsiasi ragionamento di cittadinanza- è la giusta critica a tutto ciò che rompe l'argine della temporaneità, dell’urgenza, per divenire fenomeno ordinario, regola extra ordinem che supera lo Stato di Diritto.
In Calabria, infatti, le patologie della burocrazia, della politica, della società -sicuramente gravissime- sono ormai consuetudinariamente trattate oltre la Norma/normalità, oltre il Processo, oltre le garanzie interpretate come arrendevolezza al “Male”, fino a giungere alla generalizzazione di provvedimenti afflittivi (personali e patrimoniali) spacciati come semplici atti amministrativi, automatismi sanitari obbligatori provocati da una tara genetica pubblicamente riconosciuta.
Occorre dirlo con forza: questo è puro autoritarismo, è l’atto di forza del Leviatano, evocato sull’altare della “Giustizia” a tutti i costi.
E i magistrati di “Area Democratica” lo dicono chiaramente parafrasando Pasolini: i calabresi sono “banditi” dalla società italiana, emarginati in quanto tali, ignorati, estranei ai pieni diritti di cittadinanza, incompresi.
È successo qualche anno fa e ancora ci penso spesso, e fa male:
un importante capo di un Ufficio Giudiziario reggino, mediaticamente evoluto, prima di andarsene dalla Città per assumere altro e più importante incarico (la Calabria, per fortuna, riesce anche a stimolare ottime carriere) non seppe resistere a scoccare la “freccia del parto”, al colpo di sorpresa, malevolo feroce:
disse che alle nostre latitudini non si riesce neppure a giocare in sicurezza una partita di tennis, che non si è sicuri di chi ci si trova innanzi, di chi si frequenta e suggeriva ai giovani colleghi in transito di muoversi socialmente solo nel ristretto ambito corporativo, come se da noi tutto fosse infetto… ben prima della pandemia da Covid 19!
Il proliferare dei commissariamenti prefettizi e governativi (pensiamo anche allo scioglimento delle amministrazioni locali), ci dicono i magistrati progressisti, risponde troppo spesso (e magari non così laddove sarebbe davvero necessario, aggiungo io) a logiche meramente legalistiche e astratte, senza affrontare davvero il fondamentale e indispensabile tema dell’efficienza delle amministrazioni coinvolte, della continuità della Funzione Pubblica e senza comprendere fino in fondo che la retorica del “rispetto delle regole” senza l’impegno per l’eguaglianza sostanziale non conduce all’applicazione di un Diritto democratico, evoluto.
Un atteggiamento “di potere”, dunque, meramente quantitativo, burocratico, legato ad indici spesso lontani dall’accertamento processuale, è disfunzionale da un punto di vista popolare, colpisce solo il territorio, deprivandolo e immiserendolo politicamente.
Ed ecco perché -a mio parere- i magistrati reggini colgono davvero nel segno, ed abbandonano ogni facile rifugio nel “ruolo”, quando affrontano anche il tema delle rinunce, dell’autolimitazione di potere, di posizione.
Non sarebbe infatti ora, di fronte a questa enorme mole di fallimenti tipici dell’approccio emergenziale, favorire anche per la Calabria un ritorno alle garanzie ordinarie? Sottomettersi alla sovranità della Legge e delle sue forme rispetto al sostanzialismo proprio della retorica giustizialista?
Anche sullo strumento interdittivo intervengono i giudici riformisti:
parlano di indebite compressioni della libertà d’impresa e dei diritti dei singoli, chiedono istruttorie senza facili automatismi, stigmatizzano le tagliole legate al palesarsi o meno di indicatori ormai divenuti pedanti, consueti, introitati e “usati” senza ragionamento e spirito di complessità, di analisi del contesto.
E dovremmo davvero abbandonare le sterili presunzioni poliziottesche che scimmiottano la realtà, che sconfessano ogni necessità di approfondimento sulle scriminanti e esimenti e che disincarnano l'operatività dei diversi Poteri pubblici in gioco, spesso piegati -in Calabria- ad un feticcio ideologico innalzato a Totem:
La lotta alla criminalità organizzata divenuta guerra pedagogica di rinsavimento -a forza- di una collettività dipinta come perduta, obliata, perversa.
E anche qui non posso che richiamare alla mente altri ricordi, altri “incubi” di derive teologistiche, magiche, fideistiche:
siamo stati la Terra -oltre che dei nefasti miti ‘ndranghetistici- anche delle veglie di preghiera sotto le sedi di Procura, nel corso di processi in corso, come se il Processo fosse niente, solo un ostacolo da scansare, come se l’accertamento in dibattimento, nel confronto libero delle parti -di fronte ad un Giudice terzo- fosse un inutile orpello, un pericoloso insistere “parruccone” su forme desuete, stantie, “maligne” di fronte all’esigenza moralistica, veritativa -“religiosa”- di affermare -dall’alto della “funzione” si intende- il “Bene”, il “Giusto”, la “Condanna” per questa nostra Gomorra moderna!
Oggi, per fortuna, anche grazie ai coraggiosi magistrati di Area, qualcosa sembra muoversi, i semplici cittadini spaesati e quelli coinvolti in tanto “terrore” giacobino, i pochi intellettuali sopravvissuti alla sbornia manettara, gli ancora meno numerosi militanti di una Sinistra riformista e laica, i tanti operatori della Giustizia (avvocati e giudici liberi) sono meno soli; si apre la possibilità di un dibattito serio, comune e complesso che possa giungere -lo si spera- a concrete proposte di superamento della legislazione emergenziale che ammorba la Calabria e che la piega sotto il peso di attribuzioni collettive, di classe, endemiche, lombrosiane.
Per troppo tempo si è abbandonato il solo sperare ad un ritorno fisiologico al funzionamento ordinario delle Istituzioni, ad un progressivo movimento verso la normalità.
Ed attenzione, non è la “Pace” che va ristabilita in Calabria, tutt’altro!
Va stimolata la feconda dialettica, il conflitto proficuo di classi e interessi, il gioco libero dell’intrapresa e l’orgogliosa affermazione dei diritti sindacali, lo scontro sociale arricchente che genera futuro, uguaglianza, soluzioni proprie.
A governare questa possibile nuova temperie feconda, tipica delle Società in fermento e complesse, serve il Diritto (e il Diritto Occidentale, nello specifico), a tutt’altro servono la rappresaglia, la vendetta contro Caino, il gesto eclatante, l’inchiesta funambolica degli arrestati a mucchi, i Paesi circondati nell’assedio poliziesco e mediatico, l’annichilimento degli Organi eletti come un destino scritto cui non si può sfuggire, nonostante ogni sforzo, ogni tentativo, ogni colore politico avvicendato.