Lo studioso di storia della scrittura Barry Bruce Powell, autore tra l’altro di “Classical Myth” (1998), - il quale rifiuta le teorie standard sulle origini sia dell'alfabeto cuneiforme sumerico che del fenicio come derivanti da pittogrammi (Theory and History of the Technology of Civilization, 2009) -, dopo aver avanzato l’ardita tesi che un solo uomo abbia inventato quello greco, espressamente per registrare la poesia epica in genere e i poemi Iliade od Odissea in particolare (Homer and the Origin of the Greek Alphabet, 1991), ha pure ipotizzato che il luogo in cui fu impiegato per la prima volta questo abecedario, alla fine del IX secolo a. C., potrebbe essere stata la regione dell'Eubea ("Introduction", The Poems of Hesiod: Theogony, Works and Days, the Shield of Herakles, 2017).
Le due “Eretrie”
Tale alfabeto euboico era usato nelle città di Calcide e delle due “Eretrie” (l’isolana Ἐρέτρια della madre patria e la megalo-ellenica Ερυθρά, ovvero la “rossa” Ῥήγιoν fondata da Giocasto) e nelle relative colonie dell'Italia meridionale, in particolare a Cuma (Κύμηe, “onda”) e a Pithekoussai (Πιθηκοῦσσαι, “delle scimmie”). E fu attraverso questa variante che giunse alle altre popolazioni della Penisola, dove diede origine ad arcaici segni grafici, tra cui l'etrusco, l’osco, e infine il latino. E difatti, alcuni dei tratti distintivi di quest’ultima scrittura, rispetto allo standard greco, sono già presenti nel modello euboico, considerato appartenere al tipo "occidentale", cosiddetto "rosso", mentre il tipo "verde", o meridionale, sarebbe il più antico e più vicino al fenicio (Adolf Kirchhoff: Studien zur Geschichte des griechischen alphabets, 1867).
Il tipo rosso
Anche il tipo "rosso" (occidentale) manca del segno Ξ (Xi) di derivazione fenicia, per il suono /ks/, introducendone invece uno supplementare, Χ, proprio alla fine dell'alfabeto, in perfetta corrispondenza con la medesima lettera "X" del latino. Inoltre, l'alfabeto rosso introdusse gli aspirati Φ = /pʰ/ e Ψ = /kʰ/, a differenza del successivo standard greco, dove Ψ sta per /ps/ e Χ per /kʰ/, e soltanto Φ, per /pʰ/, resta comune a tutte le varianti “non verdi”. Inoltre, Η venne impiegata quale consonante /h/ piuttosto che come vocale /ɛː/, mentre manca ancora l’omega (Ω). Conserva le lettere arcaiche digamma (Ϝ) per /w/ e qoppa (Ϙ) per /k/ e, sia pure in disuso, San (Ϻ), per /s/, viene ancora tacitamente trasmesso, visto che ricorre negli abecedari poi adottati dagli etruschi. L'Eubea e le colonie a essa associate, inclusa la maggior parte delle italiote, aveva un Λ (lambda), per via della rotazione di quasi 90°, già somigliante a una L latina, un Σ (sigma) simile alla S, un Ρ (rho) già prossimo alla R e il triangolare delta arrotondato a D.
Ventidue lettere fenicie
Tutte le forme dell'alfabeto greco erano originariamente basate sull'inventario condiviso dei 22 simboli del fenicio (phoinikeia grammata, φοινικεια γραμματα, "lettere fenicie"), con l’eccezione della Samekh, la cui controparte greca Xi (Ξ) era usata solo nel sottogruppo "blu scuro" (Corinto e Argo nel Peloponneso, Dodecapoli ionia e Cnido in Asia Minore), e con la comune aggiunta della Upsilon (Υ, derivata dalla waw fenicia) per la vocale /u, ū/.
Quello fenicio è considerato il primo derivato dei geroglifici egizi, giunto rapidamente a completa e autonoma “maturazione”, e abilmente diffuso per mettere per iscritto le lingue cananee della prima età del ferro, come anche ebraico, moabita, ammonita ed edomita, così come l'antico aramaico. Il suo utilizzo in tutto l’Oriente costiero ne determinò un'ampia diffusione al di fuori dell'ambito cananeo, perché ampiamente divulgato dai mercanti in tutto il mondo mediterraneo, dove fu adottato e modificato da molte altre culture.
I Minei
Il filologo tedesco, specialista in Religionswissenschaft, Max Müller (1823-1900), riteneva che l'alfabeto fenicio provenisse dall'antica scrittura sudarabica durante il dominio yemenita dei Minei, nel IX secolo a. C., sulle parti meridionali del Levante Mediterraneo (attuale Libano).
Le frecce di al-Khader
Per altri, sarebbe una diretta continuazione del "proto-cananeo" del periodo di fine età del bronzo, con una direzione della scrittura da destra verso sinistra (come per l’arabo e l’ebraico). Se ne potrebbe dedurre allora che le iscrizioni trovate sulle punte delle saette ad al-Khader, vicino Betlemme, e datate intorno al 1100 a. C., - con la riproduzione della parola ‘’freccia’’ seguita dal nome del proprietario, completato dal suo luogo d’origine e poco altro -, avrebbero offerto agli epigrafisti una sorta di “anello mancante”, visto che il cosiddetto epitaffio di Ahiram, inciso in lingua fenicia completamente sviluppata, sul sarcofago del re di Byblos, resta di datazione più controversa (tra il XIII e il X secolo a.C.).
L’epitaffio di Ahiram
La forma di parallelepipedo, scolpito in una roccia calcarea, poggiato su quattro leoni accovacciati, ricorda molto una caratteristica tipica degli Assiri e degli Ittiti, ma la maledizione scagliata dal figlio di Ahiram sugli eventuali futuri profanatori della tomba, richiama decisamente quelle di molti sepolcri aristocratici egizi rinvenuti nelle necropoli tebane.
Scrittura su argilla
Una delle prime forme di scrittura documentate nel Vicino Oriente fu, comunque, la rappresentazione pittografica dei segni che, nel corso dei secoli, andò assumendo un aspetto sempre più stilizzato, di modo che le stesse linee, originariamente disegnate e continue, divennero segmentate in una serie di tratti, indipendenti dalle formulazioni originarie, e quindi sempre meno riconoscibili al colpo d’occhio. La motivazione di carattere tecnico che ne stava alla base andava individuata nelle impressioni lasciate sull'argilla dagli stili di canna a sezione triangolare allungata, a forma cioè di cuneo (cuneus in latino). Le tavolette venivano incise quando l'argilla era ancora umida e malleabile; mentre i segni impressivi erano poi indelebilmente fissati dalla successiva cottura in forno.
Tale scrittura iniziò, durante il Neolitico, giusto all’epoca dell'invenzione della ceramica, quando si cominciarono a impiegare dei “gettoni” d’argilla per documentare la contabilità di specifiche quantità di bestiame, o merci (proto-scrittura pittografica dal IX millennio alla fine del IV a.C.). Si trattava pertanto di forme simboliche di animali da associare a numeri.
I Sumeri della Mesopotamia meridionale
Originariamente sviluppata per scrivere la lingua sumera della Mesopotamia meridionale (odierno Iraq), nelle epoche successive, è stata adattata a registrare un certo numero di altre lingue oltre al sumerico. La maggior parte della documentazione con corpora cuneiformi è relativa ai testi accadici attestati a partire dalla metà del terzo millennio a. C. in poi, ma dall'inizio del II fu accomodata a scrivere, dapprima, la lingua ittita, e poi man mano significativamente l'eblaita, l'elamita, l'hurrita, l'urartiana e la luvio.
Potrebbe essere stato molto probabile che l'idea d’esprimere per iscritto le parole del linguaggio parlato correntemente sia stata importata dalla Mesopotamia sumera anche in Egitto. Difatti, i geroglifici egizi sarebbero di poco successivi alla scrittura sumerica, essendone pertanto stati in qualche modo influenzati, e vi sono testimonianze da cui si potrebbe dedurre come, al tempo dell'invenzione della scrittura, le relazioni tra i due contesti, mediterraneo e della Mezzaluna fertile, fossero abbastanza frequenti e altrettanto permeabili (Geoffrey Sampson: Writing systems: a linguistic introduction, 1985).
Natura fonetica dei glifi
La principale ragione dell’immediato successo delle phoinikeia grammata non fu solamente la cultura del commercio marittimo di quei mercanti che inevitabilmente lo diffusero in molte porzioni del Nord Africa e dell'Europa meridionale. A partire dall’VIII secolo a.C., prosperarono infatti gli adattamenti, compresi quelli alle lingue, e di conseguenza scritture, greca, anatolica e italica antica, per via dell'attraente innovazione della sua natura squisitamente “fonetica”, in cui ogni suono poteva essere rappresentato da un unico simbolo inequivocabile; ciò significava, in pratica, una drastica riduzione a solo un paio di dozzine di glifi da imparare, laddove i geroglifici cuneiformi ed egiziani erano fortemente limitanti l'alfabetizzazione a una ristrettissima élite, proprio a causa del ridondante impiego di molti caratteri complessi che richiedevano un lungo addestramento “scolastico” per padroneggiarne una sufficiente competenza.
Questo alfabeto ebbe effetti a lungo termine sulle strutture sociali delle civiltà che vennero in contatto con esso. La sua semplicità ne permetteva un facile adattamento a più lingue, come pure di imparare a scrivere anche alla gente comune. Ciò sconvolse quel particolare status di lunga data della “scolarizzazione” come prerogativa esclusiva delle aristocrazie regali e religiose, e degli scribi professionisti, che così controllavano rigidamente il monopolio dell'informazione, assoggettando, dal punto di vista culturale, per questo semplice motivo, la popolazione che non poteva permettersi un’istruzione di base.
Adiabene e Gordiene
L'apparizione del fenicio determinò una tale rivoluzione da disintegrare parecchie di queste divisioni di classe, sebbene molti regni mediorientali, come Assiria, Babilonia e l’Adiabene, confinante con l'Armenia mesopotamica (Gordiene), avrebbero continuato a lungo a ricorrere al cuneiforme sia per questioni legali, come per quelle liturgiche, e spesso soprattutto magiche. L'ultima tavoletta databile con certezza risale all’incirca al 79/80 d. C., e proviene da Uruk, odierna Warkāʼ irachena.
Dal volo delle gru
"Parcae, Clotho Lachesis Atropos, inuenerunt litteras Graecas septem (Le Parche, Cloto, Lachesi e Atropo, inventarono sette lettere dell’alfabeto greco): A B H T I Y [U] ... altri dicono che le inventò Ermes dal volo delle gru, che quando volano disegnano in cielo delle lettere. Anche Palamede, figlio di Nauplio, inventò undici lettere ..., Simonide altre quattro, Ω [minuscolo ω, W] Ε Ζ Φ [E Z F], il siciliano Epicarmo due, Π et Ψ [P e Y]. Dicono che Ermes abbia portato per primo le lettere greche in Egitto e che dall’Egitto Cadmo le abbia portate in Grecia; poi Evandro, esule dall’Arcadia, le portò con sé in Italia, dove sua madre Carmenta le trasformò in latine, quindici di numero. Apollo aggiunse le altre con la sua lira.".
La favola di Igino
In Fabulae 277 (Rerum inventores primi), Gaius Julius Hyginus, che ha raccolto molta mitologia romana, menziona una leggenda secondo cui sarebbe stata la Sibilla Cimmera, Carmenta, ad alterare quindici lettere dell'alfabeto greco per tradurle nell'alfabeto latino, che poi suo figlio Evandro introdusse nel Lazio, presumibilmente una o due generazioni prima della guerra di Troia. Ma poi ci confonde su una loro origine egizia, sia pur mediata da un sirofenicio (Cadmo) e da un arcade (Evandro.
Il contributo di Cadmo
I greci non conobbero le “phoinikeia grammata”, almeno secondo Erodoto, se non grazie al figlio di Agenore, re di Tiro, e fratello d’Europa, miticamente vissuto milleseicento anni prima del padre della storiografia; in realtà, invece, sembra che l'alfabeto fenicio venisse adattato da parte dei Greci alla loro scrittura in un’epoca precedente gli anni di Erodoto di appena qualche secolo. Anche se era già noto ai saggi ebrei dell'era del Secondo Tempio, che lo definivano come una forma di paleo-ebraico.
Una scrittura sacra
Ne “La scrittura magica” (Hermes edizioni, Roma 2020), Mark B. Jackson, studioso britannico del simbolismo di glifi e sigilli magici, ammette che: “Ogni civiltà del mondo antico utilizzava una propria scrittura sacra, trasmessa dal proprio dio della saggezza, come un sistema di simboli magici. I primi grandi maghi della storia furono i sacerdoti di Babilonia ed Egitto, considerati i custodi d’una conoscenza segreta donata dagli dei all’umanità per deviare i colpi del destino…”.
Magia caldea
Il primo sistema ad associare corrispondenze divine, celesti, planetarie e numeriche alle lettere dell’alfabeto in modo da poter predire il futuro per il tramite dell’astrologia, fu quello magico-religioso caldeo. Gli antichi egizi ricorrevano all’Heka, da cui presumibilmente il nome della dea greca dei crocicchi, Hekátē (Ἑκάτη).
Vocali planetarie
Successivamente, nel mondo classico, la magia trovò la sua espressione nella lingua greca e nell’associato sistema numerico pitagorico. Applicando, con rigore, la mistica numerologica alle 7 vocali dell’alfabeto greco (che conserva due tipi di “o”, omicron Ο, ο e omega Ω, ω, e di “e”, epsilon Ε, ε ed eta Η, η) vennero collegati i 7 tradizionali pianeti nella loro successione tolemaica (dall’astronomo Caudio Tolomeo), con la terra al centro del sistema solare.
Una complicazione mistica
Quando il nucleo principale del sapere universale divenne la Biblioteca d’Alessandria dell’Egitto tolemaico (dalla dinastia faraonica della stirpe macedone dei Lagidi), il misticismo ebraico s’unì alle antiche dottrine orientali proliferando in gnosticismo ed ermetismo, e rendendo molto più complesso e suggestivo quell’arcaico sistema di scrittura per immagini della simbologia pittografica, attraverso il cuneiforme ugaritico.
Toro
Nelle fonti mesopotamiche, la lettera A (ʾāleph, bue) corrispondeva originariamente a una testa di bue, dove le linee diagonali esprimono l’equilibrio delle energie, e la linea centrale e trasversale divide il mondo spirituale, superiore, dal materiale, inferiore. I fenici “girarono” su un lato questo bucranio, trasformandolo nella sagoma d’un aratro, mentre i greci, capovolgendolo completamente, lo riproposero come una figura quasi umana con i piedi ben saldi per terra.
La casa
Dalla forma d’una casa (bēth in fenicio ed ebraico), luogo della nascita e grembo materno, nonché gonadi maschili in grado di ingravidarlo e seno che allatta e nutre il frutto del concepimento, la B; provenendo dall’alto dello spirito, la linea retta va a manifestarsi direttamente sul piano fisico dell’essere.
Dal cammello … alla cruna dell’ago (qōp)
Dalla frombola (gīmel), o bastone da lancio, al cammello (gamal in ebraico), ricco del suo carico di beni preziosi, all’eloquenza d’una bocca aperta, alla mezzaluna che illumina il cielo, la gamma greca e la G latina. Dal pesce (dālet), al triangolo, soglia, porta, uscita ed entrata, morte e vita, una verticale richiude la mezzaluna della consonante precedente in un nuovo bilanciamento precario ma fermamente imposto, delta greca, D latina, e cirillica de [Д]. Mano aperta al giubilo, finestra (hē), spalancata al futuro e progressione ben equilibrata, la E latina e l’epsilon greca.
Uncino (wāw), fiamma, adolescenza, sentiero che porta a un bivio, con conseguenti decisioni da prendere circa la scelta tra saggezza divina e terrena, la Y. Arma (zayin), spada, freccia, slitta, saetta, energia, diagonale, che procedendo dall’alto in basso, stabilisce un contatto come di corrente elettrica, la Z. Cortile, muro (hēt), campo coltivato, finestra, occhio, coscienza, l’H latina e l’eta greca.
Dai minoici la lettera S fu usata per rappresentare il serpeggiante oggetto del loro culto arcaico rettiliano, suggerito dall’immagine della doppia curvatura, composta da due C contrapposte, di cui una aperta allo spirito, l’altra alla materia, mentre la sīn fenicia, più simile all’attuale doppia vu, dava maggiormente l’idea d’un dente o d’un sole al tramonto, o rinascente tra due monti.
Spesso il retaggio “pittorico” è più facile riconoscerlo nelle lettere geometriche greco-latine piuttosto che nelle scritture semitiche, araba ed ebraica, divenute con il trascorrere dei secoli sempre più corsive. Le lettere più antiche appaiono del tutto identiche alle arcaiche. Un cerchio, per esempio, non può che corrispondere all’occhio onniveggente di dio (ʿayin), alla visione interiore, al cosmo come anche allo zero, tutto o niente.
Nella cruna dell'ago (qōp), il trattino che fuoriesce dal cerchio ne costituisce l’asse d’equilibrio, la nuca del capo, una lingua che sporge tra le labbra per dimostrare allegria. L’ovale, invece, che si apre ad angolo come una bocca (pē) non può che stare per l’uso della parola, con lo sguardo rivolto al futuro, ma divenendo semicerchio su una linea ribadisce la testa pensante dell’individualità (P).
Il pilastro (sāmek), del materialismo, da radicamento sul piano terreno, diviene un arco per scagliare una freccia fino a formare delle braccia distese invocanti una guida, X. Più recente l’amo da pesca, J, dal braccio-mano (jōd), in cui, rivolgendo al passato la memoria, si produce un nuovo livello di coscienza.
Una sequenza speculare
La sequenza della stragrande maggioranza dei caratteri maiuscoli latini sembra strutturata per fornire un colpo d’occhio di segni che si riflettono gli uni negli altri in una sorta di successione di positivi e negativi quasi speculari: BEFHL … TVXYZ.
In HNOSX la metà superiore s’unisce al suo rovescio; più propriamente, la I rappresenta lo spirito che discende nella materia. C, D, O e U sono sempre uno stesso segno in posizione diversa, coricata, capovolta o variamente richiusa. Alcune costituiscono l’una l’inverso dell’altra: M W…
Tăbliţele de la Tărtăria
Precedono la scrittura minoica Lineare A quei pittogrammi riprodotti sulle tavolette di Tărtăria (Tăbliţele de la Tărtăria), rinvenute da Nicolae Vlassa (1934-1984) a Săliștea (nei pressi del sito di Alba Iulia, nella Transilvania rumena), e attribuite alla cultura Vinča (dal nome del villaggio serbo situato sulle rive del Danubio), ma forse non sarebbero stati sviluppati con motivazioni fonetiche, e neppure amministrative ed economiche, né tantomeno rappresenterebbero semplicistici amuleti, bensì, con buona probabilità, dei planisferi, o mappe stellari, idonei a dei rituali religiosi che divennero sempre più complessi e, comunque, in auge ben cinque secoli prima della scrittura sumerica.
L’archeologo del museo di Cluj-Napoca interpretò ancora come una scena di caccia quella della tavoletta senza foro, con la rappresentazione stilizzata d’un animale (capra), un simbolo vegetale e un altro poco riconoscibile, mentre gli altri due reperti quali muti testimoni d’una grafia primitiva, in cui si ritrovano già delle lettere contenute pure nelle iscrizioni arcaiche greche, ma anche nelle scritture fenicie, iberiche, etrusche, o italiche antiche; in ogni caso, una modalità molto simile ai simbolismi impiegati dai Sumeri, creando così una sorta di ideale collegamento tra le due regioni sud-orientali dell'Europa (penisola balcanica) e dell’Iraq (Mesopotamia meridionale).
Alcuni hanno, pertanto, suggerito che il, tutto sommato, ancora misterioso popolo dei Sumeri sia potuto migrare in Oriente proprio dall'area carpato-danubiana, ipotizzando così una presumibile spiegazione delle sorprendenti differenze tra la loro cultura e quella dei loro vicini semiti.
Un’altra ipotesi è relativa a un contatto, o a una trasmissione dalla zona dell'Egeo; la decorazione con conchiglie di Spondylus indirizzerebbe verso la zona delle isole Cicladi, un’area strettamente imparentata con i precursori della civiltà ellenica; non soltanto minoica e micenea, ma anche pelasgica, tracia, getica, frigia o misia, soprattutto in seguito alla catastrofe ecologica del cataclisma nel bacino d'acqua dolce del Mar Nero, che produsse dei flussi migratori verso sud, verso le isole greche, verso l'Asia, la Mesopotamia e l'Egitto, e altri verso la Valle del Danubio, - almeno secondo l’ipotesi Ryan-Pitman, tesa a fornire una spiegazione al mito del Diluvio ricordato nella Bibbia e dal personaggio di Utnapishtim nell’ Epopea di Gilgameš.
La cultura Kurgan
Negli anni '50, la ricercatrice americana d’origine lituana Marija Gimbutas formulò la teoria della cultura Kurgan, descrivendo un modello di preistoria europea (in The Civilization of the Goddess: The World of Old Europe, 1991), in cui a costituire il nucleo del cosiddetto “vecchio” continente sarebbe stata la "civiltà danubiana", relativamente avanzata, che parlava lingue pre-indoeuropee, la quale venne progressivamente invasa da tribù proto-indo-europee ammassatesi nella steppa settentrionale del Mar Nero. Si trattava di pastori nomadi, inizialmente distribuitisi intorno al Mar Caspio e, in parte, nell'Europa orientale. La Gimbutas ha proposto tre ondate di espansione di questa civilizzazione kurganica. La prima a partire dal basso Volga che portò alla coesistenza delle culture Kurgan I e Cucuteni-Tripolie; mentre le successive migrazioni avrebbero coinvolto i Balcani e, lungo il Danubio, le civiltà Vinča e Lengyel d’Ungheria.
Funzione religiosa o apotropaica?
La civiltà che sorse nella valle del Danubio sarebbe stata, a questo punto, la cultura più antica d'Europa, ricoprendo un lasso di tempo di ben due millenni, che dal 5500 va al 3500 a. C., e uno spazio che si estendeva dalla parte settentrionale dell'attuale Grecia alla Slovacchia, e dalla Romania alla Croazia, corrispondendo in buona parte alla civilizzazione Vinča-Turdaș. Eppure, a differenza della scrittura cuneiforme, o dei geroglifici egizi, nati dalla necessità di eseguire calcoli agricoli, quella della Valle del Danubio avrebbe avuto sin da subito esclusivamente una funzione religiosa, se non proprio esclusivamente apotropaica.
L’incoerenza
Anche accettando che i tre reperti rumeni siano realmente autentici e, pur in circostanze mai chiarite, siano stati ritrovati insieme, permangono, in questa “clamorosa” scoperta, evidenti indizi d’incoerenza per via della coesistenza di differenti modalità di compilazione grafica: ancora pittografica, nella tavoletta rettangolare senza foro; nella tavoletta rettangolare con un foro, di tipo anatolico (ittita, o luvio); nella tavoletta rotonda, una vera e propria redazione con segni corrispondenti a lettere dell'alfabeto greco arcaico o cario-anatolico (di quell’area, cioè, che s’estendeva a sud della Ionia, a nord della Licia e a ovest della Frigia).
Karanovo
Tavolette in qualche modo simili sono state trovate nel sud-est della Bulgaria, sulla collina di Karanovo (Караново), a un livello neolitico, benché corrispondano più al III millennio a. C. Si tratta di diversi sigilli fittili, uno dei quali (rotondo, del diametro di ca. 6 cm.) reca incisi dei segni pittografici divisi in quattro settori ben delimitati, proprio come la tavoletta discoidale di Tărtăria. Si tratta d’una piastrella di 20 mm di spessore, con segni emblematici sul recto e una sorta di punteruolo o "maniglia" conica sul retro, ma, poiché i caratteri sono incisi sull'argilla, non poteva essere utilizzata come “stampino” da applicare su una base morbida, dove avrebbe lasciato contorni poco nitidi, né tantomeno sarebbe stata idonea alla marcatura di merci o per una qualche “certificazione” di proprietà. Non essendo affatto comodo quel "manico" a forma di cono né a sostenere né ad apporre un timbro, potrebbe forse aver costituito piuttosto una sorta di perno per fissare la piastrella ceramica a faccia in su in un foro praticato a bella posta?
Né pintadera né brotlaibidol
Il cosiddetto "sigillo" di Karanovo non sarebbe quindi un vero e proprio marchio, che, applicato su d’una base morbida, consenta d’ottenere contorni nitidi da “pintadera”, quella probabilmente impiegata come “punzonatura” tribale, su proprietà o bestiame, o eventualmente come tatuaggio, ma neppure un “brotlaibidol” (idolo a forma di pagnotta) dalle decorazioni geometriche per uso rituale. I segni inscritti sul "sigillo" di Karanovo apparterrebbero a forme d’una scrittura primordiale, riportate esclusivamente su oggetti di culto per lo svolgimento di cerimoniali religiosi?
Il caos apparente, sia nella disposizione dei segni sia nel loro orientamento, non sarebbe che un semplice ordinamento a noi ignoto, per cui al fine di “leggere” tali segni è necessario scoprire, prima di tutto, in cosa potrebbe consistere l’eventuale regolarità della loro disposizione.
Il fegato etrusco di Piacenza
L'analogia più vicina sembra poter essere costituita dal famoso fegato in bronzo (conservato presso il Palazzo Farnese di Piacenza), risalente a qualche secolo prima della nostra era (tra il VI e il II o I a. C.), impiegato dall’aruspice etrusco specificatamente a scopo divinatorio, sul quale la distribuzione d’una quarantina di nomi di divinità avrebbe facilitato la lettura del responso sulla superficie del corrispondente organo dell'animale sacrificale.
Una sorta d’Ovomanzia?
Anche il "sigillo" di Karanovo sarebbe diviso in zone corrispondenti alle divinità principali. E la cosiddetta “predizione dell'uovo” (Яйцегадаенето), od ovomanzia, avverrebbe in modo abbastanza simile. La combinazione del tuorlo circondato dall’albume sul cuscinetto ceramico fissato con l’apposito "manico" conico nel foro da cui sarebbe dovuto fuoriuscire l’eccesso del liquido versato, sarebbe stata “letta” come una mappa astrologica, che, a seconda dell'area del sigillo sottostante, aveva diviso in altrettante zone l'albume dal tuorlo. Dalla forma, colore e struttura dell'insieme, localizzato in determinate zone del “sigillo”, il sacerdote sarebbe stato in grado d’interpretare il passato, o predire il futuro; oppure di fornire risposte a precise domande formulate in relazione a particolari divinità, in base allo stato dell'albume e del tuorlo sulla specifica zona d’influenza di quelle medesime divinità.
Il culto tracio del III millennio a. C.
L'analogia con il fegato etrusco di Piacenza suggerisce che sul "sigillo" di Karanovo fossero inscritti i nomi delle principali divinità appartenenti al culto tracio del IV e III millennio a. C., e per identificarle è superfluo ritenere assolutamente necessario saperle riconoscere con sufficiente appropriatezza. Grazie all'antroponimia e alla toponomastica dell'antica Tracia, ci sono oggi note le attestazioni nominative di poche divinità antiche, da quella principale Δις/ Διn, giorno, cielo, poi divenuto Tin presso gli Etruschi e Zeus presso i Greci, ad Αυλο(υ), Aplu tra gli Etruschi e Apóllōn (Ἀπόλλων), tra i Greci, da Mα, la grande dea madre, al dio salvatore, Σουρα/ Σωτήρ. In sintesi, le loro iniziali si restringono a solo due coppie di lettere tra loro abbastanza simili: una prima dove predomina la forma triangolare Δ e A, l’altra modulata in modalità variamente seghettata M e Σ.
La linea diametrale del "sigillo" di Karanovo ne dividerebbe il campo in due semicerchi specularmente simmetrici: da una parte le iniziali delle divinità solari Δις e Αυλο(υ), dall’altra di quelle ctonie, Mα e Σουρα/Σωτήρ. La scrittura dei caratteri grafici avviene giusto da questa linea, da sinistra o da destra, e segue la parte adiacente al suo perimetro. Nel segmento in basso a destra ci sono le iniziali del dio supremo Δις; nell’inferiore sinistro quelle di Αυλο(υ), entrambe divinità solari. Nel segmento in alto a destra c'è l'iniziale della dea madre Mα, e nel superiore sinistro quella di Σουρα/Σωτήρ, che all'alba dell'istituzione del sistema religioso tracio ebbe anche la funzione di psicopompo e accompagnatore nell'aldilà delle anime dei defunti.
Più controversa, di certo, una correlazione di elementi teo-astrologici visivi tra le mappe stellari di Karanovo o Tărtăria con geroglifici egizi o asterismi cinesi utilizzati per secoli solo ed espressamente per la divinazione o per scopi connessi con la sacralità del sovrano.
Asomtavruli
Diretti discendenti di quei sumeri che occupavano il meridione dell’attuale Iraq si ritengono oggigiorno gli attuali caucasici georgiani viventi sulla riva orientale del Mar Nero, convinti di continuare a scrivere in un originario alfabeto lineare-sumerico, peraltro andato perduto, con l’unica eccezione delle "lettere maiuscole" Asomtavruli (ასომთავრული).
Zurab Kapianidze, più noto e apprezzato come artista di teatro e cinema che come filologo, ha avanzato l’ipotesi che tra i primordiali sistemi di scrittura del mondo intero sia da considerare proprio l'alfabeto georgiano, attribuendo a esso un significato cosmico-astronomico.
L’invasione akkadica
Dopo la conquista del vicino oriente antico per opera degli accadi, i sumeri non avrebbero rivelato ai conquistatori tutto quello di cui erano a conoscenza, ma soltanto un abecedario “ridotto” a 22 lettere, precursore dell’ugaritico, anche se pur sempre basato sugli astrogrammi del calendario lunare, opportunamente occultati da una loro semplicistica rotazione su se stessi di circa 90 gradi.
Pertanto, i primi caratteri dell’alfabeto fenicio, ereditati da quegli antichi segni, sarebbero stati desunti, in ogni caso, dalle costellazioni che continuano a comporre gli zodiaci lunari di India o Arabia, seguendo un ordine, insieme alfabetico e cosmico, a partire dall’Alef corrispondente alle brillanti Iadi della costellazione del Toro, - beth/ Orione, gimel e daleth/ Gemelli, he/ Cancro, waw e yod/ Leone, kaf, lamed e mem/ Vergine, nun/ Bilancia, samekh e ayin/ Scorpione, pe, qoph e tsade/ Sagittario, resh/ Capricorno, - finendo con shin e tau nell’Acquario. Le tre assenti da quest’elenco (heth, zain e teth) vennero, ciononostante, assunte sul medesimo tema d’origine celeste, come adeguamento di residue variazioni di suoni simili.
Bibliografia essenziale:
Gimbutas M. The Civilization of the Goddess: The World of Old Europe, Harper, San Francisco 1991
Hiller S. und Nikolov V. Karanovo Band III., Beiträge zum Neolithikum in Südosteuropa, Phoibos, Wien 2000
Ierace G. M. S. Pitagora e il pitagorismo alle radici della filosofia, https://calabriapost.net/cultura/pitagora-e-il-pitagorismo-alle-radici-della-filosofia
Ierace G. M. S. Se la lingua langue, il vernacolo sverna in retrivi idioletti?, https://calabriapost.net/cultura/se-la-lingua-langue-il-vernacolo-sverna-in-retrivi-idioletti
Ierace G. M. S. La versione levantina del cavaliere misterioso. Il culto di San Giorgio nelle regioni del Caucaso, Calabria letteraria, 271, 34-43, aprile/giugno 2021
Ierace G. M. S. Il Rebus, non è che un Rebis! - La Porta alchemica di Villa Palombara a Piazza Vittorio, Sothis, 2, 4, 46-56, dicembre 2021
Jackson M. B. La scrittura magica, Hermes edizioni, Roma 2020
Kirchhoff A. Studien zur Geschichte des griechischen alphabets, F. Dümmler, Berlin 1867
Merlini M. La scrittura è nata in Europa, Avverbi, Roma 2004
Powell B. B. Homer and the Origin of the Greek Alphabet, Cambridge University Press, Cambridge 1991
Powell B. B. Classical Myth, Prentice Hall, Upper Saddle River, N.J. 1998
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